L’utile e il gratuito

venerdì 13 ottobre 2017
21:00
Teatro Piccolo Coccia - Piazza Martiri della Libertà 2 - Novara

L’utile e il gratuito

Salvatore Natoli

Docente e filosofo. È professore ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.

Il gratuito è una largizione di bene socialmente utile? Se lo chiedessimo, tutti o quasi risponderebbero che certamente lo è. Se non lo fosse non apporterebbe alcun bene: risulterebbe perciò irrilevante o, peggio, esibizionista e futile. L’utile, dunque, non contraddice di necessità il gratuito, ma, seppure non vi coincida, è ad esso congruo. Questa semplice constatazione mette in discussione il luogo comune che oppone utilità a gratuità. Di più, infrange quella retorica del dono che pateticamente lo equipara a una sorta d’inevitabile spoliazione. Al contrario, non si può intendere la natura e la grandezza del dono se non si chiarisce l’ordine e il valore dell’utilità rispetto al bene. Ma ciò esige una definizione dell’utile che, lungi da quel che comunemente si crede, non coincide con la ricerca di vantaggi personali, ma con la disposizione a operare senza contropartita per l’utile comune e perciò per il bene di tutti. Si chiama, per dirla con Spinoza, generosità.

BIBLIOGRAFIA

dono-dunque-siamoDono, dunque siamo
UTET, 2013
di Marco Aime, Stefano Bartezzaghi, Zygmunt Bauman, Laura Boella, Salvatore Natoli, Marino Niola, Stefano Zamagni, Luigi Zoja

 

Otto buone ragioni per credere in una società più solidale

Il dono: oggetto materiale o metafora di uno stile di vita, è al centro delle più stimolanti riflessioni sull’essenza profonda dell’economia e della società, oltre che sulla natura stessa dell’uomo. Cosa spinge gli uomini a donare e, ancora più importante, a contraccambiare il dono?
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il-rischio-di-fidarsi

Il rischio di fidarsi
Il Mulino, 2016

La fiducia è in primo luogo un legame originario: solo perché abbiamo ricevuto amore e sicurezza ne diveniamo capaci. La sperimentiamo quotidianamente nei legami parentali, amicali, sociali, come pure nelle istituzioni, che rendono possibili patti di lealtà anche fra persone estranee. E infine si ha fiducia quando la si ha – in una potenza altra, Dio, a cui ci si affida in ragione d’una promessa di salvezza. Di fronte a un’impossibile autosufficienza, fidarsi, anzitutto come atto di generosità, è un rischio che dobbiamo correre.

 


i-nodi-della-vitaI nodi della vita
La Scuola, 2015

La metafora del “nodo” – ciò che intreccia, s’intreccia, lega ma anche può soffocare – può render conto di ciò che la vita è innanzitutto per ciascuno di noi. E l’uso della metafora al plurale cerca di dare un nome a queste possibilità – e scacchi – in cui si declina l’esistenza. I capitoli, nel loro articolarsi, disegnano una fenomenologia della vita tra il vissuto quotidiano e le parole della filosofia: corpo, amore, eros, dolore, virtù, felicità, dignità e rispetto, speranza, destino, Dio. Parole che gli uomini nella storia hanno sempre cercato – e anche trovato – per orientarsi nel mondo.

 

 


il-buon-usoIl buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio
Mondadori, 2015

Per l’uomo di oggi, che non spera più nella salvezza alla fine dei tempi ma ha davanti a sé un tempo senza fine, navigare in mare aperto sembra ormai diventato l’unico modo di vivere. Ma quale rotta seguire, dopo il tramonto di ogni certezza e il declino della tradizione giudaico-cristiana in Occidente, due segni distintivi della nostra epoca? Al termine di un lungo e originale itinerario di riflessione sulla modernità, Salvatore Natoli analizza le varie forme del fare (il lavoro, innanzitutto, ma anche il consumo, il progresso, il rischio) e il loro rapporto con quello che dovrebbe essere il vero obiettivo di ogni essere umano: un buon uso del mondo. Partendo dalla distinzione aristotelica tra “agire” (dare un senso alle proprie azioni) e “fare” (eseguire un compito), l’autore si chiede quanto, nella nostra frenetica attività quotidiana, siamo “agenti”, soggetti capaci di realizzarsi in ciò che fanno, e quanto invece siamo “agiti”, elementi impersonali di una serie causale e anonima di cui non si vede né l’inizio né la fine. Per essere titolari della propria vita, e quindi davvero liberi, non basta infatti conformarsi a ciò che l’organizzazione sociale richiede, ma occorre istituire un rapporto autentico con il proprio desiderio, con la propria corporeità e con gli altri. Così, nella società delle abilità, della tecnica e del saper fare, si ripropone in tutta la sua urgenza la questione delle virtù, intese come “abilità a esistere”, in grado di darci stabilità e consistenza.